<<
Scusa, me la fai una dedica sul libro? >>
<<
Eh? >>, è la mia eloquentissima risposta. Dell’artista eclettico,
eccentrico ed entusiasta non c’è più nessuna traccia. Lo sguardo perplesso
della ragazzina con una copia del mio nuovo romanzo Oltre il Buio, il Silenzio mi fissa con una nota di disappunto,
accompagnato da quello dell’editore, in piedi accanto a me da questo lato dello
stand della casa editrice.
Eppure,
mentre firmo la prima pagina della mia ultima fatica non riesco proprio a far
caso a questa sinfonia di occhiate. Da
quando sono arrivato alla Fiera del Libro di Centullia, il mio stato d’animo è
stato sempre assente.
La
causa, inutile dirlo, sono le minacce che sto ricevendo da quando è uscito il
libro.
Lettere
e telefonante anonime, in enorme quantità.
Tutto
è cominciato all’indomani della presentazione del mio nuovo romanzo - Oltre il
Buio, il Silenzio, per l’appunto. E’
il primo lavoro che scrivo da solo e parla di violenza domestica. Racconta la storia di un marito burbero e
ubriacone, delle angherie e soprusi a cui sottopone sua moglie.
L’accoglienza
è stata fantastica, i primi dati di vendita
incoraggianti. L’editore gongola, eppure da quella maledetta
presentazione la mia serenità si è incrinata. Ho cominciato a ricevere
telefonate a qualsiasi ora del giorno e della notte, e quando rispondo non
sento nulla. Solo un inquietante silenzio, scandito dal brusio della linea
telefonica. Stessa cosa per le lettere: le trovo sotto casa, senza mittente.
Dentro, solo un foglio bianco.
Sono
cose che ti agitano. Se ricevessi minacce o insulti, capirei da che direzione
arriva la tempesta. Cercherei di prepararmi. Come in un incontro di pugilato,
tenterei di schivare il colpo successivo. Invece il silenzio, il non dire, è inquietante. E’ uno spazio
bianco che può essere riempito da ogni tipo di scarabocchio frutto della paranoia.
Reazioni
negative al mio libro? Fans delusi? Sensibilità ferita di qualche lettore?
Tutto può essere, e non può essere niente. Se a questo si aggiunge che sono una
persona tendenzialmente paranoica, il gioco è fatto.
Mio
padre, quando ero ragazzo, era solito dirmi come fossimo ipertesi, noi in famiglia. Ci
agitiamo per un nonnulla, diventiamo schiavi di pensieri ossessivi e viviamo in
funzione di questi.
Infine,
quando la tensione si fa insopportabile, ci esce sangue dal naso. A fiumi,
sinistro preludio di un qualche evento negativo.
A
queste considerazioni paterne ho sempre risposto con delle risate, trovando il
tutto esagerato e fantasioso. Crescendo, ripensavo all’aneddoto con aria di
superiorità, ritenendomi un esempio felice di mosca bianca.
Ma
adesso la tensione è diventata davvero
lancinante, taglia il respiro con un coltello dalla lama incandescente.
Improvvisamente,
senza che me ne rendessi conto, sono finito nella rete delle asimmetrie
comportamentali della mia famiglia.
In
cuor mio so che non dovrei dar peso a questi tentavi di turbare la mia
serenità, limitandomi a godere il successo che sta avendo il mio nuovo libro.
Eppure,
sono qui a firmare le copie di Oltre il Buio, il Silenzio grigio in volto, le mani che
mi tremano, lo sguardo assente.
Va
avanti così da quando è iniziata la fiera, e non accenna a migliorare. Di tanto
in tanto stacco e mi allontano dello stand, avanzo stancamente nel passivo sciamare
di lettori, scrittori del calibro di
Davide Reale, Orlando Nevi, Simone Pazzini e critica impegnata, arrivo all’Area
Pro, dove come sempre hanno finito tutto, e bevo un caffè. Non saluto nessuno,
nemmeno Cosimo Dintorni, new sensation delle graphic novel, con il suo nuovo
libro appena uscito che non mi ricordo come si chiama. Tuttavia il fumettaro mi
ferma, sembra aver voglia di uno scambio intellettuale, al contrario di me.
Offre un sorriso posticcio da occasione formale, mentre mi fa i complimenti sul
libro, facendomi però notare delle ingenuità su alcune trovate narrative. Prova
addirittura a spiegarmi come le ha risolte lui sul suo ultimo lavoro. Io
sorrido di rimando, molto debolmente. Non ho la serenità per un competitivo scambio
di battute: gli faccio i miei complimenti e lo saluto, non prima di avergli
comunicato di essere sicuro della superiorità del suo ultimo libro rispetto al
mio. Dopodichè, riprendo la mia marcia. Cosimo Dintorni non sembra gradire, ma
non mi interessa.
Così,
attraverso con passo incerto gli antichi archi di Castello Verlucchi, sede
dell’evento letterario in cui sono ospite, rifuggendo istintivamente dalle zone
più isolate, dove l’ombra delle volte si incrocia con le correnti d’aria. Torno
alle mie dediche, alle mie frasi scelte preventivamente e da trascrivere in
serie sulla seconda di copertina, che realizzo passivamente, come se stessi
ricalcando qualcosa già delineato da altri, magari più bravi di me.
Vengo
sradicato con forza dalla sedia solo quando arriva il momento della consegna
dei premi. Arriviamo all’auditorium, e al mio ingresso tutti mi guardano, o
almeno così mi sembra. Sento centinaia di sguardi cozzare contro il mio volto,
una corrente di corpi mi si contrappone da ogni lato; per quanto la sala sia
grande, lentamente ma inesorabilmente si fa strada dentro di me un
inesplicabile e claustrofobico senso di oppressione.
Comincio
a sudare, la testa mi gira. Mi sento come se non ricordassi più nulla, il cuore
vuole uscirmi dal petto. Non trovo più né l’editore né nessun altro che
conosco, di colpo mi sento intrappolato in una gabbia piena di manichini.
Questo
delirio sembra interrompersi solo quando, improvvisamente, mi sento strattonato
verso una direzione precisa. Cerco di opporre resistenza ma ugualmente
attraverso quella via immaginaria alla stregua di un confuso e lacerato
frangiflutti, una strada che mi porta dritto sul palco.
Da
questa prospettiva rialzata vedo i manichini applaudire all’unisono, senza
smettere di fissarmi. Cosa vogliono? Che succede?
Un
manichino lungocrinito in doppiopetto si avvicina, mi consegna un premio,
farfuglia qualcosa di incomprensibile dalla mia ottica distorta. Infine
avvicina un microfono, e improvvisamente sopraggiunge un silenzio
agghiacciante, di attesa.
Tutti
si aspettano che dica qualcosa, ma cosa?
Mentre
mi inumidisco le labbra asciutte con la lingua provando a dire qualcosa,
qualsiasi cosa, avverto una strana sensazione di umido sul labbro superiore,
che lenta scende sul mento.
I
manichini negli spalti sembrano agitati, qualcuno sussulta, non capisco il
perché.
Infine,
lo vedo.
Macchie
di un rosso intenso coprono le mie scarpe e la mia camicia. Istintivamente mi
passo una mano sulla faccia, ma già capisco cosa sta succedendo.
E’
sangue. Il mio sangue. Esce dal naso e si fa spazio sul mio volto, sui miei
vestiti, per terra, creando una incrinatura cremisi sulla mia sagoma confusa e
disorientata.
Faccio
cadere il premio e lo vedo spaccarsi in tre monconi asimmetrici, si spargono
alla rinfusa sul palco, imbrattandosi
irrimediabilmente con il mio sangue.
Totalmente
in panico, prendo e scappo via, facendomi spazio ad ampie falcate tra la folla.
Cerco
di fuggire sì, ma non so dove e non so da cosa, cerco la solitudine,
apparendomi in questo delirio di lucida follia la mia unica possibilità; ma la
sfilata della giuria che ha voluto che io vincessi il premio è alle porte, e
improvvisamente mi trovo soffocato tra cloni di eccentrici alternativi dalle
giacche buffe e i baffi da prima guerra mondiale. Mi costringono a rallentare
la marcia, sempre di più, sempre di più, finché non mi fermano del tutto.
Allora urlo, spintono, mi creo con la forza della disperazione un varco, mentre
sento il sangue continuare ad uscirmi copioso sul volto, lo sento ricoprire una
porzione del collo.
Alla
fine riesco ad allontanarmi dalla gente, correndo imbocco un paio di corridoi
che mi sembrano meno frequentati, dove stanno le autoproduzioni.
Mi
sento in trappola, sensazione accentuata dalla fuoriuscita del sangue che non
accenna a diminuire. Che colpe ho commesso? Io nemmeno lo volevo scrivere, il
nuovo libro! Ho deciso di dedicarmi interamente alla scrittura solo per
guadagnare di più! Lo sapevo che non dovevo cimentarmi!
Le
pareti verniciate di bianco da qualche imbianchino sbronzo lasciano spazio a
mura di mattoni risalenti a tempi antichi. Intorno a me vedo sempre meno gente,
salgo qualche gradino, fino a quando non mi sento i polmoni bruciare.
Alla
fine mi fermo, mi sporgo da un affaccio che dà una veduta quasi completa su
Centullia. Il mare, l’alternarsi di grattacieli e costruzioni improvvisate, la
lieve brezza che mi sfiora il volto ormai reso irriconoscibile dalla fatica,
dalla paura e dal sangue. Lentamente, cerco di ritrovare la calma e raccogliere
le idee.
Mi
passo una mano sulla faccia, ne ritrovo il palmo dipinto di rosso ma la cosa
non sembra turbarmi più, mentre il respiro si fa pian piano più cadenzato.
Improvvisamente,
qualcuno mi tira per una spalla, spingendomi a voltarmi senza possibilità di
resa. Prima che mi renda conto di che cosa stia succedendo sento un corpo
estraneo spingersi nel mio petto. Senza esitazione mi penetra nella carne, e un
caldo dolore parte dalla zona della ferita fino a espandersi su tutto il corpo.
E’
una lama, mi entra nel petto nella sua interezza.
La
mia bocca si spalanca, ma non ho più la forza nemmeno di gridare, le parole mi
muoiono in gola come se non fossero mai esistite. Il sapore di sangue è
l’ultima cosa che sento.
Sto
per morire, e l’ultimo sguardo è per il mio carnefice. Lo riconosco, è Cosimo
Dintorni. Lo sento biascicare qualcosa sul mio libro, non decodifico le parole
usate, ma solo il suo tono rabbioso. Capisco che si riferisce al premio che ho
appena vinto.
Dopodichè,
chiudo gli occhi. Non c’è più spazio per la paranoia, per l’ansia o per il
dolore. Solo il buio.
E oltre il buio, il silenzio.