lunedì 25 luglio 2016

E oltre la linea, nessuno.

Cercare l’armadietto dei liquori è impresa assai ardua al buio. L’unica luce che attraversa la stanza proviene dalla persiana scheggiata, ma gli sbiaditi raggi lunari non rendono di certo più rapida la ricca.
L’estate ha colto di sorpresa chiunque stesse pensando ad altro. Improvvisa come il balzo di un grillo, rende più moviolistici i movimenti e ti costringe e bere un Captain Morgan on the rocks, sebbene tu sia un purista del whisky liscio.  
Bè, non del tutto. A pensarci bene nemmeno ti piace poi così tanto, il Captain Morgan. Eppure è l’unica cosa che le tue dita cieche han rinvenuto nell’oscuro armadietto. Per cui bevi, centellinando il liquido e facendone accettare al palato l’ostico sapore.
Non è l’unica cosa che devi imparare ad accettare, probabilmente. Anche se hai smesso di chiederti se ne sarai in grado. Di strada ne hai già fatta tanta e si vede, però per uno come te non è mai abbastanza. Non pensi mai ai chilometri divorati, ma pensi a quelli che rimangono da fare. Approccio magari anche lodevole, se non fosse che non hai la più pallida idea di quanti ce ne saranno ancora da percorrere e la cosa ti fa chiedere se mai ce la farai. Questo ti porta a voltarti indietro una volta di troppo, e a volte la frustrazione può lasciar posto allo sconforto.
Si potrebbe dire che la vita è scandita dalle conquiste, ma sarebbe una cazzata.  Sei convinto che la conquista è solo un episodio, e se viene decontestualizzata da quello che veniva prima e da quello che succederà dopo non ha alcun significato. E tu questo lo sai bene.
Per te la vita la disegnano le guerre, i conflitti. E non solo quelle tracciate con la baionetta o il fucile, quando parli di guerre intendi scontri a tutto tondo, che siano per la libertà della propria terra, per far votare le donne o per sederti sulla poltrona davanti al televisore. Hai sempre ritenuto che i libri di storia contenessero per lo più cronache di guerre, date che hanno portato il mondo in una direzione piuttosto che in un’altra. Quante pagine i libri di scuola hanno dedicato a quella battaglia? E quante invece a quel ritrovato della scienza, a quel vaccino oppure a quella importante innovazione scientifica?
E’ così che va e non deve piacerti per forza. Devi solo accettarlo. Perché se non lo fai vivi nelle illusioni, perché pensarla diversamente ti farebbe affogare con la faccia nella polvere, diventando infine uno sbiadito ritratto di tutto ciò che non vorresti e non dovresti essere.
Non esiste predestinazione, non esistono circostanze convergenti, non c’è nessun filo che lega fra loro gli eventi se non quello che decidiamo noi di creare.

Adesso la notte è piombata completamente su di te. Bevi il tuo Captain Morgan e la bevanda ti rinfresca, ma il ghiaccio ormai sciolto ne ha diluito il sapore, rendendolo irriconoscibile e, se possibile, ancora più indigesto.


giovedì 14 luglio 2016

Ultima - mente.


Tutto gira, evoluzioni di un mondo che non conosce sosta.
Eppure, in tutto questo perpetuo divenire, qualcuno ha bisogno di fermarsi, anche solo per un attimo. Seduto, fermo, gli occhi socchiusi  a fissare la televisione senza audio. Da questa prospettiva, quelli che si muovono all’interno dello schermo sembrano degli scalmanati colorati che si sbracciano senza un reale perché.
Se si osserva fuori dalla finestra, la visione filtrata attraverso i vetri del paesaggio che si trova oltre le mura ne esce deformata, e quello che si prospetta oltre il davanzale è un paesaggio in cui la foschia notturna sembra quasi delineare un linea rossa parallela al terreno, intorno alla quale le abitazioni sparse disordinatamente tutt’intorno ricordano un coro greco che intona una maledetta litania che tende a ripetersi ossessivamente.
Le strade potrebbero essere ammantate da un sottile velo di pioggia che come un miserabile velo di rimpianti si poggia sulle coscienze di quanti già sono caduti nel gentile e invitante sonno notturno.
Potrebbe essere il momento ideale per la ponderazione di ciò che è stato, momento ideale per scuotere i paludosi labirinti di un cervello incapace di archiviare le battaglie importanti, indipendentemente se abbiano portato ad una decadente sconfitta oppure ad una memorabile vittoria.
Perché, alla fine, non esiste sconfitta che non venga irradiata da un seppur labile raggio di sole, che fiaccamente si fa spazio tra solchi di nuvole; nessuna vittoria è stata raggiunta, senza che le spade non siano state battezzate dal sangue.
Sfumature. Come il fumo che lentamente satura l’aria circostante, come il lieve spirare del sole al tramonto, come il sorriso di chi si ama in mezzo ad un folla di nessuno.
In fondo, può essere una sfumatura il cercare necessariamente delle colpe per eventi spiacevoli, dei quali forsennatamente disconosciamo ogni paternità; tuttavia, quando qualcosa finisce, quando una catena si spezza e ne assistiamo alla contestuale nascita di un’altra che rappresenta il nostro triste fardello di miseria, non esistono colpe, non esistono meriti. Non esistono assoluzioni, così come non esistono condanne. Anche se non ci sembra vero, anche se sollevando la maglia troviamo una ferita che non si è mai del tutto rimarginata, rimanendo un cratere di sangue e pus, un appestato monito di certezze che fondamentalmente non sono mai state davvero tangibili.
Può darsi che, attraversando dei labirinti creati dalla nostre presunzioni di consapevolezza, il nostro cervello ne sia uscito deframmentato, il nostro cuore inaridito; ma questo non ci rende automaticamente migliori, non ci rende propriamente dei reduci. Non si può essere guerrieri solo al momento di contare le cicatrici.
Ora è troppo tardi per piangere per le tempeste che ci hanno colti impreparati, è troppo tardi per qualsiasi cosa, tranne che per impedire che un sinistro lascito resti agganciato alle nostre caviglie mentre andiamo oltre.
Possiamo cavalcare l’onda, prendere questo luminoso buio e farci avvolgere dal suo tepore, renderlo il nostro mantello.
Ricordare le azioni, i pensieri e i sentimenti che ci hanno fatto sentire vivi, non dimenticare i motivi per cui abbiamo combattuto, gli amici che sono andati via, le mani che abbiamo strinto, gli abbracci che ancora non sapevamo che sarebbero diventati oscuri preludi di tempeste. Tenere sempre a mente i momenti stessi in cui abbiamo fatto queste cose, l’energia che si espandeva da esse.  Così facendo, non saremmo migliori, non saremmo più forti, ma forse questo paradossale esoscheletro potrà proteggerci da ciò che ci ostacola, e sarà figlio dell’esigenza di custodire ciò che è importante.
Quando pioverà, non ci bagneremo; quando farà freddo, non tremeremo; e potremo continuare a rincorrere i nostri sogni.
L’equilibrio assoluto ed immutabile è per gli sciocchi e per i superficiali. C’è anche chi preferisce camminare sulla precaria corda del continuo osare, anche se essa sembra non finire mai: perché se cade, è pronto ad assumersi le sue responsabilità  E perché in cuor suo sa che è l’unico modo per non fermarsi mai davvero.
Forse è un modo sbagliato di agire, ma forse è anche l’unico modo che si conosce per andare avanti.

C’è chi preferisce provare a disegnare, invece di limitarsi ad abbozzare.
Adesso il sole sta per sorgere, e mentre qualcuno dorme c’è chi è pronto ad accogliere il nuovo giorno, coraggiosamente impettito e con l’occhio fisso verso l’orizzonte.
Anche se la pioggia imperversa, anche se il vento aggredisce il volto.



lunedì 4 luglio 2016

Oltre il Buio, il Silenzio


 << Scusa, me la fai una dedica sul libro? >>

<< Eh? >>, è la mia eloquentissima risposta. Dell’artista eclettico, eccentrico ed entusiasta non c’è più nessuna traccia. Lo sguardo perplesso della ragazzina con una copia del mio nuovo romanzo Oltre il Buio, il Silenzio mi fissa con una nota di disappunto, accompagnato da quello dell’editore, in piedi accanto a me da questo lato dello stand della casa editrice.
Eppure, mentre firmo la prima pagina della mia ultima fatica non riesco proprio a far caso  a questa sinfonia di occhiate. Da quando sono arrivato alla Fiera del Libro di Centullia, il mio stato d’animo è stato sempre assente.
La causa, inutile dirlo, sono le minacce che sto ricevendo da quando è uscito il libro.
Lettere e telefonante anonime, in enorme quantità. 
Tutto è cominciato all’indomani della presentazione del mio nuovo romanzo -  Oltre il Buio,  il Silenzio, per l’appunto. E’ il primo lavoro che scrivo da solo e parla di violenza domestica.  Racconta la storia di un marito burbero e ubriacone, delle angherie e soprusi a cui sottopone sua moglie.
L’accoglienza è stata fantastica, i primi dati di vendita  incoraggianti. L’editore gongola, eppure da quella maledetta presentazione la mia serenità si è incrinata. Ho cominciato a ricevere telefonate a qualsiasi ora del giorno e della notte, e quando rispondo non sento nulla. Solo un inquietante silenzio, scandito dal brusio della linea telefonica. Stessa cosa per le lettere: le trovo sotto casa, senza mittente. Dentro, solo un foglio bianco.
Sono cose che ti agitano. Se ricevessi minacce o insulti, capirei da che direzione arriva la tempesta. Cercherei di prepararmi. Come in un incontro di pugilato, tenterei di schivare il colpo successivo. Invece il silenzio, il non dire, è inquietante. E’ uno spazio bianco che può essere riempito da ogni tipo di scarabocchio frutto della  paranoia.
Reazioni negative al mio libro? Fans delusi? Sensibilità ferita di qualche lettore? Tutto può essere, e non può essere niente. Se a questo si aggiunge che sono una persona tendenzialmente paranoica, il gioco è fatto.
Mio padre, quando ero ragazzo, era solito dirmi come  fossimo ipertesi, noi in famiglia. Ci agitiamo per un nonnulla, diventiamo schiavi di pensieri ossessivi e viviamo in funzione di questi.
Infine, quando la tensione si fa insopportabile, ci esce sangue dal naso. A fiumi, sinistro preludio di un qualche evento negativo.
A queste considerazioni paterne ho sempre risposto con delle risate, trovando il tutto esagerato e fantasioso. Crescendo, ripensavo all’aneddoto con aria di superiorità, ritenendomi un esempio felice di mosca bianca.
Ma adesso la tensione  è diventata davvero lancinante, taglia il respiro con un coltello dalla lama incandescente.
Improvvisamente, senza che me ne rendessi conto, sono finito nella rete delle asimmetrie comportamentali della mia famiglia.
In cuor mio so che non dovrei dar peso a questi tentavi di turbare la mia serenità, limitandomi a godere il successo che sta avendo il mio nuovo libro.
Eppure, sono qui a firmare le copie di Oltre il Buio,  il Silenzio grigio in volto, le mani che mi tremano, lo sguardo assente.
Va avanti così da quando è iniziata la fiera, e non accenna a migliorare. Di tanto in tanto stacco e mi allontano dello stand, avanzo stancamente nel passivo sciamare di lettori,  scrittori del calibro di Davide Reale, Orlando Nevi, Simone Pazzini e critica impegnata, arrivo all’Area Pro, dove come sempre hanno finito tutto, e bevo un caffè. Non saluto nessuno, nemmeno Cosimo Dintorni, new sensation delle graphic novel, con il suo nuovo libro appena uscito che non mi ricordo come si chiama. Tuttavia il fumettaro mi ferma, sembra aver voglia di uno scambio intellettuale, al contrario di me. Offre un sorriso posticcio da occasione formale, mentre mi fa i complimenti sul libro, facendomi però notare delle ingenuità su alcune trovate narrative. Prova addirittura a spiegarmi come le ha risolte lui sul suo ultimo lavoro. Io sorrido di rimando, molto debolmente. Non ho la serenità per un competitivo scambio di battute: gli faccio i miei complimenti e lo saluto, non prima di avergli comunicato di essere sicuro della superiorità del suo ultimo libro rispetto al mio. Dopodichè, riprendo la mia marcia. Cosimo Dintorni non sembra gradire, ma non mi interessa.
Così, attraverso con passo incerto gli antichi archi di Castello Verlucchi, sede dell’evento letterario in cui sono ospite, rifuggendo istintivamente dalle zone più isolate, dove l’ombra delle volte si incrocia con le correnti d’aria. Torno alle mie dediche, alle mie frasi scelte preventivamente e da trascrivere in serie sulla seconda di copertina, che realizzo passivamente, come se stessi ricalcando qualcosa già delineato da altri, magari più bravi di me.
Vengo sradicato con forza dalla sedia solo quando arriva il momento della consegna dei premi. Arriviamo all’auditorium, e al mio ingresso tutti mi guardano, o almeno così mi sembra. Sento centinaia di sguardi cozzare contro il mio volto, una corrente di corpi mi si contrappone da ogni lato; per quanto la sala sia grande, lentamente ma inesorabilmente si fa strada dentro di me un inesplicabile e claustrofobico senso di oppressione.
Comincio a sudare, la testa mi gira. Mi sento come se non ricordassi più nulla, il cuore vuole uscirmi dal petto. Non trovo più né l’editore né nessun altro che conosco, di colpo mi sento intrappolato in una gabbia piena di manichini.
Questo delirio sembra interrompersi solo quando, improvvisamente, mi sento strattonato verso una direzione precisa. Cerco di opporre resistenza ma ugualmente attraverso quella via immaginaria alla stregua di un confuso e lacerato frangiflutti, una strada che mi porta dritto sul palco.
Da questa prospettiva rialzata vedo i manichini applaudire all’unisono, senza smettere di fissarmi. Cosa vogliono? Che succede?
Un manichino lungocrinito in doppiopetto si avvicina, mi consegna un premio, farfuglia qualcosa di incomprensibile dalla mia ottica distorta. Infine avvicina un microfono, e improvvisamente sopraggiunge un silenzio agghiacciante, di attesa.
Tutti si aspettano che dica qualcosa, ma cosa?
Mentre mi inumidisco le labbra asciutte con la lingua provando a dire qualcosa, qualsiasi cosa, avverto una strana sensazione di umido sul labbro superiore, che lenta scende sul mento.
I manichini negli spalti sembrano agitati, qualcuno sussulta, non capisco il perché.
Infine, lo vedo.
Macchie di un rosso intenso coprono le mie scarpe e la mia camicia. Istintivamente mi passo una mano sulla faccia, ma già capisco cosa sta succedendo.
E’ sangue. Il mio sangue. Esce dal naso e si fa spazio sul mio volto, sui miei vestiti, per terra, creando una incrinatura cremisi sulla mia sagoma confusa e disorientata.
Faccio cadere il premio e lo vedo spaccarsi in tre monconi asimmetrici, si spargono alla rinfusa sul palco, imbrattandosi  irrimediabilmente con il mio sangue.
Totalmente in panico, prendo e scappo via, facendomi spazio ad ampie falcate tra la folla.
Cerco di fuggire sì, ma non so dove e non so da cosa, cerco la solitudine, apparendomi in questo delirio di lucida follia la mia unica possibilità; ma la sfilata della giuria che ha voluto che io vincessi il premio è alle porte, e improvvisamente mi trovo soffocato tra cloni di eccentrici alternativi dalle giacche buffe e i baffi da prima guerra mondiale. Mi costringono a rallentare la marcia, sempre di più, sempre di più, finché non mi fermano del tutto. Allora urlo, spintono, mi creo con la forza della disperazione un varco, mentre sento il sangue continuare ad uscirmi copioso sul volto, lo sento ricoprire una porzione del collo.
Alla fine riesco ad allontanarmi dalla gente, correndo imbocco un paio di corridoi che mi sembrano meno frequentati, dove stanno le autoproduzioni.
Mi sento in trappola, sensazione accentuata dalla fuoriuscita del sangue che non accenna a diminuire. Che colpe ho commesso? Io nemmeno lo volevo scrivere, il nuovo libro! Ho deciso di dedicarmi interamente alla scrittura solo per guadagnare di più! Lo sapevo che non dovevo cimentarmi!
Le pareti verniciate di bianco da qualche imbianchino sbronzo lasciano spazio a mura di mattoni risalenti a tempi antichi. Intorno a me vedo sempre meno gente, salgo qualche gradino, fino a quando non mi sento i polmoni bruciare.
Alla fine mi fermo, mi sporgo da un affaccio che dà una veduta quasi completa su Centullia. Il mare, l’alternarsi di grattacieli e costruzioni improvvisate, la lieve brezza che mi sfiora il volto ormai reso irriconoscibile dalla fatica, dalla paura e dal sangue. Lentamente, cerco di ritrovare la calma e raccogliere le idee.
Mi passo una mano sulla faccia, ne ritrovo il palmo dipinto di rosso ma la cosa non sembra turbarmi più, mentre il respiro si fa pian piano più cadenzato.
Improvvisamente, qualcuno mi tira per una spalla, spingendomi a voltarmi senza possibilità di resa. Prima che mi renda conto di che cosa stia succedendo sento un corpo estraneo spingersi nel mio petto. Senza esitazione mi penetra nella carne, e un caldo dolore parte dalla zona della ferita fino a espandersi su tutto il corpo.
E’ una lama, mi entra nel petto nella sua interezza.
La mia bocca si spalanca, ma non ho più la forza nemmeno di gridare, le parole mi muoiono in gola come se non fossero mai esistite. Il sapore di sangue è l’ultima cosa che sento.
Sto per morire, e l’ultimo sguardo è per il mio carnefice. Lo riconosco, è Cosimo Dintorni. Lo sento biascicare qualcosa sul mio libro, non decodifico le parole usate, ma solo il suo tono rabbioso. Capisco che si riferisce al premio che ho appena vinto.
Dopodichè, chiudo gli occhi. Non c’è più spazio per la paranoia, per l’ansia o per il dolore. Solo il buio.
E oltre il buio, il silenzio.
                                                                                              








domenica 3 luglio 2016

Realmente no.


Sì, i sogni di gloria, le prime file nei comitati che contano, i posti giusti ai quali presenziare. Ma poi ci sono anche i post sbronza dell’idolatria, gli artifici e i raggiri, il sole che non è mai luminoso come te lo ricordi, fino ad arrivare ai figli da prendere sotto scuola e la fila alle poste. Per cui fai quello che vuoi di te stesso, tanto quando stai in piedi di te riesci a vedere solo l’ombra.