lunedì 4 luglio 2016

Oltre il Buio, il Silenzio


 << Scusa, me la fai una dedica sul libro? >>

<< Eh? >>, è la mia eloquentissima risposta. Dell’artista eclettico, eccentrico ed entusiasta non c’è più nessuna traccia. Lo sguardo perplesso della ragazzina con una copia del mio nuovo romanzo Oltre il Buio, il Silenzio mi fissa con una nota di disappunto, accompagnato da quello dell’editore, in piedi accanto a me da questo lato dello stand della casa editrice.
Eppure, mentre firmo la prima pagina della mia ultima fatica non riesco proprio a far caso  a questa sinfonia di occhiate. Da quando sono arrivato alla Fiera del Libro di Centullia, il mio stato d’animo è stato sempre assente.
La causa, inutile dirlo, sono le minacce che sto ricevendo da quando è uscito il libro.
Lettere e telefonante anonime, in enorme quantità. 
Tutto è cominciato all’indomani della presentazione del mio nuovo romanzo -  Oltre il Buio,  il Silenzio, per l’appunto. E’ il primo lavoro che scrivo da solo e parla di violenza domestica.  Racconta la storia di un marito burbero e ubriacone, delle angherie e soprusi a cui sottopone sua moglie.
L’accoglienza è stata fantastica, i primi dati di vendita  incoraggianti. L’editore gongola, eppure da quella maledetta presentazione la mia serenità si è incrinata. Ho cominciato a ricevere telefonate a qualsiasi ora del giorno e della notte, e quando rispondo non sento nulla. Solo un inquietante silenzio, scandito dal brusio della linea telefonica. Stessa cosa per le lettere: le trovo sotto casa, senza mittente. Dentro, solo un foglio bianco.
Sono cose che ti agitano. Se ricevessi minacce o insulti, capirei da che direzione arriva la tempesta. Cercherei di prepararmi. Come in un incontro di pugilato, tenterei di schivare il colpo successivo. Invece il silenzio, il non dire, è inquietante. E’ uno spazio bianco che può essere riempito da ogni tipo di scarabocchio frutto della  paranoia.
Reazioni negative al mio libro? Fans delusi? Sensibilità ferita di qualche lettore? Tutto può essere, e non può essere niente. Se a questo si aggiunge che sono una persona tendenzialmente paranoica, il gioco è fatto.
Mio padre, quando ero ragazzo, era solito dirmi come  fossimo ipertesi, noi in famiglia. Ci agitiamo per un nonnulla, diventiamo schiavi di pensieri ossessivi e viviamo in funzione di questi.
Infine, quando la tensione si fa insopportabile, ci esce sangue dal naso. A fiumi, sinistro preludio di un qualche evento negativo.
A queste considerazioni paterne ho sempre risposto con delle risate, trovando il tutto esagerato e fantasioso. Crescendo, ripensavo all’aneddoto con aria di superiorità, ritenendomi un esempio felice di mosca bianca.
Ma adesso la tensione  è diventata davvero lancinante, taglia il respiro con un coltello dalla lama incandescente.
Improvvisamente, senza che me ne rendessi conto, sono finito nella rete delle asimmetrie comportamentali della mia famiglia.
In cuor mio so che non dovrei dar peso a questi tentavi di turbare la mia serenità, limitandomi a godere il successo che sta avendo il mio nuovo libro.
Eppure, sono qui a firmare le copie di Oltre il Buio,  il Silenzio grigio in volto, le mani che mi tremano, lo sguardo assente.
Va avanti così da quando è iniziata la fiera, e non accenna a migliorare. Di tanto in tanto stacco e mi allontano dello stand, avanzo stancamente nel passivo sciamare di lettori,  scrittori del calibro di Davide Reale, Orlando Nevi, Simone Pazzini e critica impegnata, arrivo all’Area Pro, dove come sempre hanno finito tutto, e bevo un caffè. Non saluto nessuno, nemmeno Cosimo Dintorni, new sensation delle graphic novel, con il suo nuovo libro appena uscito che non mi ricordo come si chiama. Tuttavia il fumettaro mi ferma, sembra aver voglia di uno scambio intellettuale, al contrario di me. Offre un sorriso posticcio da occasione formale, mentre mi fa i complimenti sul libro, facendomi però notare delle ingenuità su alcune trovate narrative. Prova addirittura a spiegarmi come le ha risolte lui sul suo ultimo lavoro. Io sorrido di rimando, molto debolmente. Non ho la serenità per un competitivo scambio di battute: gli faccio i miei complimenti e lo saluto, non prima di avergli comunicato di essere sicuro della superiorità del suo ultimo libro rispetto al mio. Dopodichè, riprendo la mia marcia. Cosimo Dintorni non sembra gradire, ma non mi interessa.
Così, attraverso con passo incerto gli antichi archi di Castello Verlucchi, sede dell’evento letterario in cui sono ospite, rifuggendo istintivamente dalle zone più isolate, dove l’ombra delle volte si incrocia con le correnti d’aria. Torno alle mie dediche, alle mie frasi scelte preventivamente e da trascrivere in serie sulla seconda di copertina, che realizzo passivamente, come se stessi ricalcando qualcosa già delineato da altri, magari più bravi di me.
Vengo sradicato con forza dalla sedia solo quando arriva il momento della consegna dei premi. Arriviamo all’auditorium, e al mio ingresso tutti mi guardano, o almeno così mi sembra. Sento centinaia di sguardi cozzare contro il mio volto, una corrente di corpi mi si contrappone da ogni lato; per quanto la sala sia grande, lentamente ma inesorabilmente si fa strada dentro di me un inesplicabile e claustrofobico senso di oppressione.
Comincio a sudare, la testa mi gira. Mi sento come se non ricordassi più nulla, il cuore vuole uscirmi dal petto. Non trovo più né l’editore né nessun altro che conosco, di colpo mi sento intrappolato in una gabbia piena di manichini.
Questo delirio sembra interrompersi solo quando, improvvisamente, mi sento strattonato verso una direzione precisa. Cerco di opporre resistenza ma ugualmente attraverso quella via immaginaria alla stregua di un confuso e lacerato frangiflutti, una strada che mi porta dritto sul palco.
Da questa prospettiva rialzata vedo i manichini applaudire all’unisono, senza smettere di fissarmi. Cosa vogliono? Che succede?
Un manichino lungocrinito in doppiopetto si avvicina, mi consegna un premio, farfuglia qualcosa di incomprensibile dalla mia ottica distorta. Infine avvicina un microfono, e improvvisamente sopraggiunge un silenzio agghiacciante, di attesa.
Tutti si aspettano che dica qualcosa, ma cosa?
Mentre mi inumidisco le labbra asciutte con la lingua provando a dire qualcosa, qualsiasi cosa, avverto una strana sensazione di umido sul labbro superiore, che lenta scende sul mento.
I manichini negli spalti sembrano agitati, qualcuno sussulta, non capisco il perché.
Infine, lo vedo.
Macchie di un rosso intenso coprono le mie scarpe e la mia camicia. Istintivamente mi passo una mano sulla faccia, ma già capisco cosa sta succedendo.
E’ sangue. Il mio sangue. Esce dal naso e si fa spazio sul mio volto, sui miei vestiti, per terra, creando una incrinatura cremisi sulla mia sagoma confusa e disorientata.
Faccio cadere il premio e lo vedo spaccarsi in tre monconi asimmetrici, si spargono alla rinfusa sul palco, imbrattandosi  irrimediabilmente con il mio sangue.
Totalmente in panico, prendo e scappo via, facendomi spazio ad ampie falcate tra la folla.
Cerco di fuggire sì, ma non so dove e non so da cosa, cerco la solitudine, apparendomi in questo delirio di lucida follia la mia unica possibilità; ma la sfilata della giuria che ha voluto che io vincessi il premio è alle porte, e improvvisamente mi trovo soffocato tra cloni di eccentrici alternativi dalle giacche buffe e i baffi da prima guerra mondiale. Mi costringono a rallentare la marcia, sempre di più, sempre di più, finché non mi fermano del tutto. Allora urlo, spintono, mi creo con la forza della disperazione un varco, mentre sento il sangue continuare ad uscirmi copioso sul volto, lo sento ricoprire una porzione del collo.
Alla fine riesco ad allontanarmi dalla gente, correndo imbocco un paio di corridoi che mi sembrano meno frequentati, dove stanno le autoproduzioni.
Mi sento in trappola, sensazione accentuata dalla fuoriuscita del sangue che non accenna a diminuire. Che colpe ho commesso? Io nemmeno lo volevo scrivere, il nuovo libro! Ho deciso di dedicarmi interamente alla scrittura solo per guadagnare di più! Lo sapevo che non dovevo cimentarmi!
Le pareti verniciate di bianco da qualche imbianchino sbronzo lasciano spazio a mura di mattoni risalenti a tempi antichi. Intorno a me vedo sempre meno gente, salgo qualche gradino, fino a quando non mi sento i polmoni bruciare.
Alla fine mi fermo, mi sporgo da un affaccio che dà una veduta quasi completa su Centullia. Il mare, l’alternarsi di grattacieli e costruzioni improvvisate, la lieve brezza che mi sfiora il volto ormai reso irriconoscibile dalla fatica, dalla paura e dal sangue. Lentamente, cerco di ritrovare la calma e raccogliere le idee.
Mi passo una mano sulla faccia, ne ritrovo il palmo dipinto di rosso ma la cosa non sembra turbarmi più, mentre il respiro si fa pian piano più cadenzato.
Improvvisamente, qualcuno mi tira per una spalla, spingendomi a voltarmi senza possibilità di resa. Prima che mi renda conto di che cosa stia succedendo sento un corpo estraneo spingersi nel mio petto. Senza esitazione mi penetra nella carne, e un caldo dolore parte dalla zona della ferita fino a espandersi su tutto il corpo.
E’ una lama, mi entra nel petto nella sua interezza.
La mia bocca si spalanca, ma non ho più la forza nemmeno di gridare, le parole mi muoiono in gola come se non fossero mai esistite. Il sapore di sangue è l’ultima cosa che sento.
Sto per morire, e l’ultimo sguardo è per il mio carnefice. Lo riconosco, è Cosimo Dintorni. Lo sento biascicare qualcosa sul mio libro, non decodifico le parole usate, ma solo il suo tono rabbioso. Capisco che si riferisce al premio che ho appena vinto.
Dopodichè, chiudo gli occhi. Non c’è più spazio per la paranoia, per l’ansia o per il dolore. Solo il buio.
E oltre il buio, il silenzio.
                                                                                              








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